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Terre rare: dove sono, a cosa servono. L’importanza dei “minerali tecnologici”

di Mario Tozzi

Le terre rare sono un argomento entrato prepotentemente in campo negli ultimi anni. Non che fossero sconosciute prima: il minerale itterbite fu scoperto alla fine del XVIII secolo. Ma negli ultimi venti anni hanno acquisito la denominazione di “minerali tecnologici” per il loro fortissimo legame con la società contemporanea e per esserne diventati l’imprescindibile base: elettronica e portabilità hanno cambiato il mondo. Si tratta, prima di tutto, di una tematica squisitamente geologica (come i combustibili fossili, peraltro): una quindicina di elementi (17 per definizione) sui circa 120 noti, distribuiti nella parte bassa della tabella periodica degli elementi, caratterizzati da struttura e composizione tali da renderli unici.

Ma perché si chiamano rare?

Non perché siano rare: in realtà la più rara è comunque più abbondante del cadmio e ce ne sono di più abbondanti del rame. Con l’eccezione del promezio, elemento radioattivo artificiale, esse si trovano in concentrazioni relativamente elevate nella crosta terrestre; per esempio, lantanio, cerio, neodimio e ittrio sono più abbondanti di piombo o argento e perfino i due meno abbondanti, tulio e lutezio, sono circa 200 volte più comuni dell’oro. Una manciata di terriccio raccolta nel cortile di casa probabilmente ne contiene un po’, magari poche parti per milione. Sono invece rari i giacimenti abbastanza grandi e concentrati tali da rendere conveniente l’attività estrattiva. Le definiamo rare perché sono molto disperse all’interno dei loro minerali di provenienza, sono pochissimo concentrate, in media all’1%. Ciò significa che bisogna sbancare tonnellate di roccia per averne quantità apprezzabili. Sono anche terre dai prezzi elevati: 100 grammi possono costare fra 400 e 20.000 dollari, soprattutto per via del processo di estrazione.  E hanno impatti ambientali che vanno messi nel conto complessivo.

La distribuzione delle terre rare al mondo è limitata

Furono messe in luce e valorizzate negli Stati Uniti, dove c’era il giacimento più ricco di tutti, e successivamente in Cina. Ma sono presenti in quantità significativa anche nei Paesi cosiddetti BRICS e nel Vietnam. L’origine geologica delle terre rare sta nella storia vulcanica, spesso antichissima, di quelle regioni della terra. I maggiori produttori sono i cinesi con il 60% della produzione globale, poi gli USA. La miniera di Bayan Obo, in Cina (18 km di fronte), è la più grande del mondo; si tratta di una miniera di ferro in cui sono state scoperte successivamente anche le terre rare ed è stata per questo scavata fino all’inverosimile. Attualmente si calcola che, al mondo, ci siano 120 milioni di tonnellate sfruttabili di terre rare, dunque soggette ad esaurimento, esattamente come tutte le altre risorse.

Quello che conta nelle terre rare sono le loro proprietà

Sono proprietà elettriche e magnetiche, difficilmente rimpiazzabili, almeno al momento: non esistono processi di sintesi che ne consentano la sostituzione. Le terre rare servono a smartphone, tv, circuiti integrati, per non dire dei semiconduttori che contribuiscono a creare, e dunque diventano fondamentali per i pannelli fotovoltaici e per le turbine eoliche: un grammo per uno smartphone, un chilo per un’auto elettrica, una tonnellata per una grossa torre eolica.  Per esempio, un singolo aerogeneratore di dimensioni industriali necessita di neodimio, praseodimio, disprosio e terbio, che servono a realizzare i generatori a magneti permanenti, tecnologia chiave per le turbine a trasmissione diretta, in grado di offrire una resa energetica maggiore e minori costi operativi e di manutenzione. In questo caso, per liberare le turbine eoliche dalla dipendenza da questi elementi, alcuni ricercatori hanno sviluppato un diverso approccio alla trasmissione di corrente elettrica per i generatori, un nuovo tipo di contatto elettrico rotativo svincolato dalla dipendenza geologica.

Perché ne abbiamo bisogno

In sostanza, la riconversione ecologica e la transizione energetica hanno estremo bisogno delle terre rare, il “verde”, comunque lo vogliamo declinare, non ne può fare a meno. Questo soprattutto perché usiamo strumenti e devices portatili alimentati elettricamente e che posseggono schermi importanti e polifunzionali. Le terre rare, insieme a molti altri elementi, diventano indispensabili: se, per esempio, non troviamo l’ultimo modello di console per videogiochi nei negozi è perché c’è crisi di approvvigionamento delle terre rare. Tecnologia e limiti dello sviluppo hanno un loro preciso termometro nelle terre rare e nei superconduttori: la quota di terre rare usate in elettronica supera il 70%. Ma anche la geopolitica: la Cina tende ad accaparrarsi anche quelle regioni africane che posseggono terre rare. Per non dire del loro utilizzo nelle tecnologie militari, soprattutto per la costruzione di droni.

L’impronta ambientale delle terre rare

Riciclare le terre rare è operazione complessa e, attualmente, si arriva a recuperarne solo l’1%, una quantità irrisoria. Molte terre rare si trovano nelle apparecchiature elettroniche che buttiamo via e che vengono scomposte e recuperate a mano nei paesi poveri. D’altro canto, la guerra e la crisi delle terre rare hanno portato a trovare qualche nuovo giacimento. In Italia alcune ex-miniere di antimonio presentano quantità di terre rare. In Svezia e in Francia nuovi giacimenti vengono sfruttati. In Giappone sono stati riscontrati, a mare, grandi giacimenti che potrebbero addirittura raddoppiare la produzione mondiale.


Mario Tozzi, il geologo

Nato a Roma nel 1959. Geologo curioso. Laureato illustre La Sapienza, PhD in Geologia, Primo Ricercatore CNR, Presidente Parco Appia Antica, Cavaliere della Repubblica. Divulgatore e conduttore RAI dal 1996. Saggista, editorialista La Stampa. Consigliere TCI e WWF. Racconta storie della Terra in monologhi e spettacoli dal vivo con cantautori e attori.

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