L’uso dei materiali, l’esperienza sensoriale che li accompagna e le sensazioni emotive che evocano sono al centro delle indagini progettuali, e anche molto personali, del designer Guglielmo Brambilla. Progettista sfaccettato, ha collaborato e collabora con molti designer contemporanei e brand, da Philippe Malouin a Bethan Laura Wood, da Campari Soda a Nike, passando per esperienze con il Salone del Mobile e un anno al Fabrica Research Center. Dopo i primi studi al Politecnico di Milano, ha conseguito la sua laurea magistrale a Designskolen Kolding, in Danimarca, sviluppando un progetto sulla ceramica. Fu lì che si innamorò dell’argilla come medium materico. Con le lavorazioni ceramiche, infatti, ha scoperto un modo più viscerale con il quale esplorare il suo rapporto con gli oggetti da plasmare, mettendo alla prova intuizioni, idee, regole. Nell’estate del 2022, durante la Taattinen Artist Residency (Naantali, Finlandia) curata da Kirsi Enkovaara, ha investigato in maniera approfondita le possibilità offerte dall’argilla selvatica (estratta e lavorata direttamente, ndr), tradotte in una serie di oggetti con le forme di ganci, maniglie e manufatti semplici da “afferrare”, un passaggio quasi ancestrale dalla mano del realizzatore a quella dell’utilizzatore.
Come mai la ceramica è così importante nel tuo percorso?
Quello che dal mio punto di vista rende la ceramica un materiale così intrigante, così attraente, è il fatto che gran parte del costruito che ci circonda è fatto di materiali ceramici: mattoni, tegole, piastrelle, sanitari, piatti, coltelli, tazze, vasi, ma anche elementi più complessi e ingegnerizzati come i componenti elettronici. In secondo luogo, la ceramica, fatta di argilla, mi riporta inevitabilmente al suolo, e al tenere in considerazione l’origine di questo materiale e la sua relazione con il terreno, con un determinato contesto ambientale, con la composizione della terra dalla quale proviene. Infine, ciò che ai miei occhi rende affascinante lavorare con l’argilla è la lentezza dei ritmi a cui obbliga ad adattarsi: è un materiale di cui possiamo controllare alcune proprietà, ma che si può forzare fino a un certo punto.

Per esempio?
La fase di essiccazione, per esempio, si può forzare e accelerare, ma se è troppo drammatica, troppo rapida o non uniforme, andrà inevitabilmente a influenzare la resistenza del pezzo finale. Le proprietà di questo materiale costringono a rallentare i tempi di lavorazione a cui spesso siamo abituati e ad assecondare le necessità della materia stessa.
È nella sua autonomia trasformativa che trovi dunque un punto di contatto così personale con la manipolazione della ceramica?
C’è un che di viscerale, di primordiale, nell’argilla, nel lavorare con qualcosa di così sporco, bagnato e freddo. Allo stesso tempo è estremamente intrigante come tutte queste proprietà cambino nel processo della cottura, quindi come da un materiale freddo, umido e molle, se ne ottenga uno invece duro, fragile e resistente, poroso, e caldo, anche a livello di colorazione. Spesso l’argilla cruda ha toni freddi sul blu, sul grigio, sul nero e poi diventa quasi l’opposto: arancione, rossa e così via. Questa transizione rende il materiale ancora più affascinante e di valore, perché irreversibile.

In che modo hai portato queste riflessioni all’interno del tuo progetto sviluppato durante la residenza al lago Taattinen?
L’idea di partenza era cercare di esplorare il nostro processo di assegnazione di significato alla materia e agli oggetti. In particolare, volevo tentare di capire come una manciata di terra potesse assumere un determinato valore, in particolare la terra fangosa estratta dal lago presso cui mi trovavo. Oggi sto continuando a indagare questo tema anche in Italia, ampliando così la mia sperimentazione a tipi di argille più o meno selvatici, con composizioni e provenienze diverse.
Come definiresti questo approccio al processo?
Si tratta di un approccio progettuale più aperto alle imperfezioni e all’accettazione dei difetti, a cui la ceramica si presta. È un materiale talmente sensibile, ci sono talmente tante variabili che ne condizionano la resa finale, che inevitabilmente reagisce al contesto in cui viene lavorato. Quando si lavora con l’argilla non solo vanno considerate tutte le sue proprietà, ma anche gli utensili che si utilizzano, l’ambiente, la temperatura in cui viene lavorato, ma anche la temperatura a cui viene cotto e la posizione del manufatto all’interno del forno (che potrebbe influenzare la colorazione finale della terra e dello smalto). La ceramica secondo me si presta a un approccio incentrato all’esaltazione dei difetti e delle imperfezioni, e che si può benissimo applicare ad altri materiali. Come dovremmo riuscire ad accettare e godere di queste imperfezioni della ceramica, allo stesso modo dovremmo accettare che la plastica ingiallisce o che la pentola d’acciaio si graffia; sono proprietà che contribuiscono ad arricchire il carattere dell’oggetto senza necessariamente comprometterne funzionalità e utilizzo.

In che maniera l’origine del materiale è una variabile importante da considerare in questa cornice di accettazione delle imperfezioni?
Lavorare a questo progetto in Finlandia, dove ero io stesso a procurarmi l’argilla dalla fonte, mi è stato estremamente utile perché non avevo mai assistito all’estrazione del materiale. Mi ha affascinato moltissimo scoprire come, in quel caso, fosse praticamente pronto all’uso, come non ci fosse quasi alcun bisogno di raffinarlo in maniera particolare, di pulirlo (se non per qualche rametto o conchiglia), di processarlo. Ovviamente questo è un discorso che per forza di cose si adatta solamente a un contesto di produzione artigianale.
Questo progetto da un lato mi ha permesso di analizzare il processo di assegnazione di significato della materia, dall’altro mi ha messo davanti alla realtà e all’origine dei materiali con cui lavoriamo. Nel mio piccolo l’idea è, quindi, sempre quella di valorizzare il più possibile il materiale e il luogo dal quale proviene, dando vita ad oggetti che instaurino legami solidi prima con il loro designer e, poi, con i loro proprietari.

Lavorazione dell’argilla del Lago Taattinen: scavo con miretta (Finlandia)

Ganci in argilla del Lago Taattinen appena formati (Finlandia)

Gancio in argilla di Kultela (Finlandia)

Maniglie in argilla di Kultela (Finlandia)

Lavorazione dell’argilla del Lago Taattinen: estrazione (Finlandia)

Guglielmo Brambilla. © Chiara Cadeddu





