“La memoria dell’umanità è collegata alle foreste”, afferma Kengo Kuma, architetto giapponese di fama mondiale che ha fatto del legno il soggetto di una ricerca tra le più influenti degli ultimi decenni. In conversazione con humus, Kuma illustra Domino 3.0: Generated Living Structure, un progetto recente e paradigmatico che rinnova il dialogo con la natura e con la storia. Nei suoi lavori, dal monumentale Yusuhara Wooden Bridge Museum in Giappone (2010) all’Albert-Kahn Museum di Boulogne-Billancourt in Francia (2022), Kengo Kuma ha compiuto negli anni un esercizio continuo di memoria e di relazione, in cui il legno è inteso come archivio del tempo e del paesaggio.
Questa sensibilità ha guidato anche il progetto Domino 3.0, installazione temporanea che traduce la visione di Kuma, curata da Ryo Saito, Chief Project Manager dello studio Kengo Kuma and Associates ed esposta alla 19. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia (in corso fino a novembre). Se nel 1914 la maison ‘Dom-ino’ di Le Corbusier rappresentò l’inizio della modernità e la promessa di un vivere artificiale, con Domino 3.0 Kuma propone una rilettura radicale: l’archetipo di casa viene capovolto, immaginando un ritorno alla foresta, ovvero una casa costruita con i tronchi abbattuti dalla tempesta Vaia del 2018, scansionati in 3D e riassemblati come una struttura vivente. “Gli esseri umani erano inizialmente creature della foresta. Credo che lì dovremmo tornare, ed è per questo che ho intrapreso questo progetto” spiega Kuma.
La tecnologia diventa parte di questa mediazione: i tronchi sono stati ricomposti grazie all’uso dei computer, che ne hanno definito il posizionamento ottimale per garantire stabilità, mentre giunti stampati in 3D hanno permesso di connettere i rami lasciando libertà di movimento. “Collegare natura e vita umana in modo organico è possibile sfruttando le nuove tecnologie e le nuove prospettive sulla natura. Stiamo cercando di creare un design che colleghi i due elementi, mantenendo al contempo l’autonomia del paesaggio naturale” spiega Kuma. Un equilibrio sottile, in cui la tecnologia non impone ma accompagna, diventando ponte tra ciò che è naturale e ciò che è umano. “Idealmente, alberi ed esseri umani dovrebbero diventare un’unica entità organica, come quando l’uomo viveva sugli alberi. Gli alberi dovrebbero avvicinarsi agli uomini, e gli uomini dovrebbero adattarsi per connettersi agli alberi”.

In questa prospettiva, anche l’intelligenza artificiale – spesso percepita come distante dalla dimensione sensoriale ed ecologica – assume qui un significato diverso: “Credo che un uso estensivo dell’AI nel processo di progettazione dia agli esseri umani maggior libertà e sottigliezza. Operazioni e calcoli senza AI possono talvolta portare a risultati approssimativi o imprevedibili. È utile quindi contare sulla potenza dell’AI per bilanciare il rapporto tra uomo e natura, massimizzando l’autonomia di entrambi”. Un pensiero che trova eco nella sua riflessione sul diverso sguardo tra Oriente e Occidente: “A mio avviso, il design occidentale si basa sull’idea di modellare il paesaggio in base all’ordine umano, ma in Giappone c’è una forte convinzione che gli esseri umani debbano adattarsi alla natura, e molte delle nostre opere architettoniche e altri progetti riflettono questo approccio. Considerata la situazione ambientale che il pianeta sta affrontando, credo che l’approccio giapponese diventerà sempre più importante”.

Il contributo di Kengo Kuma aiuta a cogliere la radice autentica di un pensiero che ha segnato il dialogo tra architettura e paesaggio, in Giappone come in Occidente. Domino 3.0 rappresenta anche un nuovo capitolo nella lunga storia che lega Kuma al legno come materia di memoria, resilienza e futuro: suggerisce che il ritorno alla foresta non è soltanto un gesto progettuale, ma un movimento culturale. La tecnologia, in questa visione, non è nemica ma tramite: permette di leggere, interpretare e ricomporre ciò che la natura mette a disposizione. In un’epoca in cui il design rischia di allontanarsi dalla materia naturale, le parole di Kengo Kuma ricordano che l’innovazione più radicale è quella che riconnette l’uomo alla foresta.
Domino 3.0 alle Corderie dell’Arsenale alla 19. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia: tronchi recuperati dopo la tempesta Vaia si intrecciano in una struttura abitabile, connessi da giunti stampati in 3D, ph. Nils Koenning
La struttura in legno di Domino 3.0 si sviluppa nello spazio delle Corderie, ricomponendo alberi abbattuti in un intreccio architettonico. Il team di progetto è guidato da Ryo Saito, Chief Project Manager dello studio Kengo Kuma and Associates, ph. Nils Koenning
Domino 3.0: un intreccio di tronchi restituiti alla vita grazie al supporto di AI e stampa 3D. Hanno contribuito Yutaka Matsuo, Università di Tokyo, come consulente per l’intelligenza artificiale e Norihiro Ejiri, Japan Women’s University, per la struttura, ph. Nils Koenning
Dettaglio ravvicinato di un giunto in 3D: elementi bianchi che si incastrano ai tronchi, dando stabilità e continuità al sistema. Al progetto hanno contribuito anche D3Wood, Ejiri Structural Engineers e Matsuo-Iwasawa Lab UTokyo, ph. Nils Koenning
Giunti stampati in 3D abbracciano i tronchi, rivelando la logica costruttiva del progetto Domino 3.0, ph. Nils Koenning
Altro dettaglio dei giunti stampati in 3D: connessioni che permettono alla struttura di adattarsi senza perdere equilibrio, ph. Nils Koenning
Dettaglio di un giunto stampato in 3D: la connessione tra tronchi diventa elemento strutturale e scultoreo, ph. Nils Koenning
Parte superiore della struttura lignea: intreccio di tronchi recuperati e rialzati nello spazio delle Corderie, ph. Nils Koenning
Dettaglio ravvicinato di un tronco: la materia naturale è lasciata nella sua forma grezza, con tracce di corteccia e tagli, ph. Nils Koenning
Pianta della struttura, che mostra l’intreccio dei tronchi e la distribuzione degli innesti
Disegno tecnico in elevazione della struttura Domino 3.0, con la posizione dei giunti
Ritratto del progettista giapponese Kengo Kuma, ph. Designhouse