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L’Expo di Parigi e i primi cento anni del Made in Italy

di Giulia Marani

È il 28 aprile 1925 quando a Parigi, sull’Esplanade des Invalides, sulle rive gauche e droite della Senna e intorno a Grand Palais e Petit Palais si aprono solennemente le porte dell’Exposition internationale des arts décoratifs et industriels modernes. L’evento parte con grandi ambizioni; su tutte, quella di arrivare a codificare l’alfabeto dello stile moderno, il punto più alto della parabola dell’Art Déco, il cui nome deriva proprio da un’abbreviazione di “arti decorative”, protagoniste dell’esposizione parigina. È, inoltre, un’occasione d’oro per le manifatture dei ventuno Paesi partecipanti, in gran parte europei, chiamate a stupire i visitatori con il meglio della loro produzione.

Come bene illustra la mostra Art Déco. Il trionfo della modernità, curata da Valerio Terraroli e allestita nelle sale del Palazzo Reale di Milano fino al 29 giugno, le eccellenze italiane conquistano  immediatamente l’attenzione internazionale: la vetreria muranese V.S.M. Cappellin Venini & C., di Giacomo Cappellin e Paolo Venini, presenta vasi, coppe e vassoi del direttore artistico Vittorio Zecchin, vincendo il Grand Prix (a cui segue, purtroppo, la separazione dei due soci, a Expo ancora in corso); la Società Ceramica Richard-Ginori con i vasi, le ciste, gli orci in ceramica di Gio Ponti, pezzi tanto affascinanti quanto complessi da realizzare, che infondono nuova vita a motivi classici, attinti al serbatoio dell’archeologia tanto amato dall’architetto milanese. D’altronde, Ponti ha una sua idea della modernità che non si riassume, come scrive in un famoso aforisma, “nell’adottare quattro mobili quadrati”, ma ha semmai ha a che fare con la rielaborazione e la sintesi intelligente dei modelli del passato. Un esempio è l’orcio in maiolica intitolato La Casa degli Efebi, un inno al potere trasformativo dell’architettura: dipinto a mano dal settore artistico della manifattura, raffigura stralci di architetture antiche in cui si muovono (o riposano) figure mollemente eleganti di efebi. O, ancora, il vaso in maiolica Prospettica, che si ispira alle regole della prospettiva classica e le usa per creare un’illusione in cui ognuna delle celle disegnate sulla sua superficie contiene, a sua volta, un minuscolo un vaso, una coppa, un solido geometrico.

Gio Ponti, La casa degli Efebi, 1925. Mostra “Art Déco. Il trionfo della modernità”, Palazzo Reale Milano

Gio Ponti, attivo presso la Richard-Ginori dal 1922, oltre che art director ante litteram, si rivela geniale innovatore del linguaggio ceramico tradizionale che, proprio in quegli anni, inizia a convivere con le tecniche industriali come lo stampaggio. Attento a tutte le fasi della produzione, Ponti si sposta periodicamente dalla sua Milano a Sesto Fiorentino, dove ha sede la manifattura, per verificare di persona la resa delle sue idee, mantenendo una corrispondenza serrata con il responsabile del settore artistico. “Ponti ricopre un ruolo che in un certo senso è lui stesso a inventare, quello dell’art director che delinea le linee di sviluppo dell’azienda”, spiega la critica del design Domitilla Dardi in conversazione con Valerio Terraroli. “In questo periodo si gettano i semi di quello che nel dopoguerra diventerà il Made in Italy, attraverso una grande operazione di trasformazione delle botteghe artigiane e delle grandi manifatture, che cercano di portare le sapienze artigianali dentro alla serie industriale aperta”. A questo proposito Dardi e Terraroli citano anche il gruppo Il Labirinto, fondato per volontà di Tomaso Buzzi, Emilio Lancia, Pietro Chiesa, Paolo Venini, Michele Marelli e dello stesso Ponti con lo scopo di disegnare e produrre mobili di lusso, vasi, lampadari, tessuti e complementi d’arredo, presentati anche alla III Biennale di Monza nel 1927. “Ponti chiama a raccolta altre forze progettuali e, così facendo, anticipa ciò che avviene ancora oggi nelle direzioni artistiche dei grandi brand italiani, cioè la costruzione di un catalogo con diversi autori“, concludono i due studiosi.

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Mostra "Art Déco. Il trionfo della modernità", Palazzo Reale Milano - © Carlotta Coppo

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Gio Ponti, "Urna, Le passioni prigioniere", 1925. Mostra "Art Déco. Il trionfo della modernità", Palazzo Reale Milano

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Galileo Chini, "Vetrata con Fagiano e ramo", 1923. Mostra "Art Déco. Il trionfo della modernità", Palazzo Reale Milano - © Carlotta Coppo

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Gio Ponti, Cista con coperchio "La conversazione classica", 1925. Mostra "Art Déco. Il trionfo della modernità", Palazzo Reale Milano.

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Ettore Zaccari, "Scrigno a bauletto con motivi di uccelli e uva" e "Poltrona", 1920-1922. Mostra "Art Déco. Il trionfo della modernità", Palazzo Reale Milano - © Carlotta Coppo

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Gio Ponti, Orcio con decoro "Delle donne e dei fiori", 1925. Mostra "Art Déco. Il trionfo della modernità", Palazzo Reale Milano.

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Gio Ponti, "Prospettica", 1925. Mostra "Art Déco. Il trionfo della modernità", Palazzo Reale Milano.

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Vittorio Zecchin, 1920-1926. Mostra "Art Déco. Il trionfo della modernità", Palazzo Reale Milano - © Carlotta Coppo

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