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Paolo Pileri: dare voce alla terra ci salverà

di Antonella Galli

Immaginiamo una manifestazione pubblica, un corteo o una campagna sui social che rechi la frase “Noi siamo…”. E se la parola mancante fosse ‘suolo’? Di tutto si è visto, in questi anni, ma mai lo slogan “Noi siamo suolo”. Stravagante?  Illogico? Niente affatto, secondo l’ingegnere per la difesa del suolo Paolo Pileri, professore ordinario di Pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano, dove insegna temi legati all’uso del suolo, alla sostenibilità e alla progettazione eco-urbanistica. Per Pileri comprendere l’equazione suolo-umanità è decisivo per impostare le azioni che preservano l’esistenza (e la felicità) del genere umano.

Lei afferma nella prefazione al suo ultimo libro “Dalla parte del suolo. L’ecosistema invisibile”, (Laterza, 2024) che ‘le autentiche ragioni del suolo continuano a non essere comprese per quello che sono’.  Quali sono, in sintesi, queste ragioni?

Il suolo ha una sua vita, una sua popolazione, è abitato da una pluralità di forme di vita che dialogano, cooperano, come noi non siamo capaci; è luogo di equilibri delicatissimi e fragilissimi. Con questi equilibri il suolo consegna al pianeta una serie infinta di benefici: è il grande artefice della regolazione climatica; non lo sono solo le piante, come oggi si continua ad affermare; le piante certamente lo sono, ma insieme al suolo e ai funghi micorrizici.

In tutta questa capacità simbiotica e cooperativa, fragilissima, vi sono i pilastri della vita del suolo e oggi non sono compresi. Come dico sempre ai miei studenti, la vita del suolo è continuamente minacciata, prima ancora che dai nostri progetti, dal fatto che noi non pensiamo al suolo. Men che meno lo pensiamo corpo vivo ed ecologico.

Il grande lavoro necessario, da compiere con gli artisti e con tutte le realtà culturali che riescono a dare voce al suolo, è di far capire il tesoro che abbiamo sotto i piedi e che ci chiede rispetto.

L’humus, ad esempio, è in parte ancora ignoto: è un elemento a cui dovremmo rivolgere le nostre ricerche, certamente un obiettivo prioritario rispetto ad altri, ben prima delle spedizioni turistiche nello spazio.

 Come definirebbe l’humus?

L’humus è una grande energia. È un’organizzazione insolita e imponderata di massa ed energia che sta nelle parti più superficiali del pianeta, qualcosa di gigantesco e pronto a immolarsi, di grande generosità e grande vulnerabilità. La terra, a differenza degli uomini, quando ha qualcosa di prezioso lo offre: questo è l’humus.

“Il suolo è un ecosistema che sostiene ecosistemi. Chiamarlo risorsa equivale a pensarlo come qualcosa di consumabile, mentre il nostro compito è tutelarlo. Il 30% di biodiversità delle terre emerse del pianeta è nei primi 30 cm di terra sana.” (testo ed elaborazione P. Pileri su diagramma da Soil Atlas, 2015)

Nella prefazione al suo libro scrive che “consumare suolo significa ‘violare l’integrità sé-ambiente”, poiché suolo e comunità non sono separabili. Quali sono le conseguenze di questa separazione?

Solo una parte di umanità ritiene di essere in sofferenza per un ecosistema che è sotto stress. Tutti gli altri sono convinti di essere dominatori, catturando risorse che ritengono infinite, pensando che la tecnologia possa aiutarli a perpetuare il loro modello aggressivo.

Negli ultimi cento anni ci siamo concentrati a vivere sull’asfalto, un mezzo di separazione tra noi e la natura. Il nostro ambiente ‘naturale’ è fatto di asfalto. Dove non c’è, la gente lo chiede perché si sporca i piedi, perché il suolo è un disagio: il contrario di quello che dovrebbe essere. È comprensibile che si abbia bisogno dell’asfalto, ma è inaccettabile che ci sia così tanto asfalto e così dominante al punto che riteniamo sporco tutto quello che non lo è.

Siamo dentro questa cornice ed è complicato capire a cosa porterà questa dissociazione su cui ci incaponiamo. Il nostro sforzo verde al momento ha generato solo poche pause di tutela della natura: i parchi sono solo un 10% dell’ambiente in cui viviamo, ma sappiamo che abbiamo psicosi, malattie asmatiche, disagi di comportamento e ansia dovuti alla mancanza di spazi naturali; nonostante questo, il tema non è un punto centrale dell’agenda pubblica. C’è tanto da fare anche in termini narrativi: abbiamo bisogno dare voce alla terra e agli ecosistemi ovunque, non solo nei circuiti delle scienze. Anzi, è venuto il momento di oltrepassare questi circuiti e capire che la comunicazione deve interessare tutti, con un linguaggio accessibile e comprensibile.

“Il suolo è un ecosistema fragile e non rinnovabile. Il suo tempo di rigenerazione è lungo, mentre degradarlo e consumarlo richiede solo una manciata di minuti.” (testo e foto P. Pileri)

Come è possibile conciliare il sistema complesso in cui vive oggi una gran parte dell’umanità con la salvaguardia del suolo? Non pensa siano necessari dei compromessi?

Spesso riteniamo che certi compromessi siano inevitabili, mentre credo che siano proprio da evitare. A furia di compromessi non stiamo costruendo ottime condizioni per il futuro. Dobbiamo riuscire a ragionare a favore di natura, la sfida è quella di ideare economie efficienti, ma senza compromessi. Una transizione ecologica vera, per essere tale, deve farci venire qualche mal di pancia. Ciò non significa ritornare all’età della pietra, ma ridurre gli sprechi e rinunciare a tante comodità superflue (e spesso dannose) a cui ci siamo abituati. Due semplici esempi? Utilizzare l’auto anche quando non serve o mangiare carne con troppa frequenza.

Per non consumare più suolo sarebbe sufficiente, ad esempio, iniziare a lavorare sul patrimonio edilizio esistente. In questo momento nel nostro Paese non c’è una contabilità aggiornata e accessibile del patrimonio edilizio non utilizzato. Senza questi dati è difficile impostare piani di sviluppo sostenibile, anche per i decisori o per chi fa ricerca. In un rapporto realizzato qualche anno fa abbiamo rilevato che il riuso delle volumetrie oggi dismesse o abbandonate eviterebbe il consumo di suolo per i prossimi cinque-otto anni.

Come impostare un rapporto corretto con il suolo?

Preservando, prima di tutto, la sua funzione ecosistemica: senza suolo non avremmo l’acqua, non avremmo piante, molti dei cicli degli elementi vitali come carbonio, azoto, fosforo e potassio non avverrebbero. La grande capacità del suolo di stoccare carbonio nel primo metro di suolo ne fa un grande regolatore climatico al punto che il carbonio presente nel primo metro è pari a quattro volte il carbonio che c’è in tutta la vegetazione sul pianeta. E il 30% di biodiversità è presente nei primi 30 cm di suolo. La conoscenza di questi dati, che sembrano scontati ma non lo sono, dovrebbe portarci a riflettere e, soprattutto, ad agire dalla parte del suolo.

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“Si potrebbe recuperare e rifunzionalizzare un immenso patrimonio edilizio pubblico e privato. Ma Regioni, Comuni e uffici pubblici non aggiornano le statistiche su aree dismesse e edifici abbandonati o degradati, quindi tutto questo patrimonio è ignoto.” © P. Pileri

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“Il suolo è un ecosistema che sostiene ecosistemi. Chiamarlo risorsa equivale a pensarlo come qualcosa di consumabile, mentre il nostro compito è tutelarlo. Il 30% di biodiversità delle terre emerse del pianeta è nei primi 30 cm di terra sana.” © P. Pileri su diagramma da Soil Atlas, 2015

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“Il suolo è un ecosistema fragile e non rinnovabile. Il suo tempo di rigenerazione è lungo, mentre degradarlo e consumarlo richiede solo una manciata di minuti.” © P. Pileri

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L’ultimo libro di Palo Pileri, pubblicato da Editori Laterza (2024)

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“Il suolo è in pericolo di vita ogni giorno: la voracità del cemento genera un consumo di suolo che in Italia supera i 20 m2 al secondo.” © P. Pileri

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Paolo Pileri, ingegnere per la difesa del suolo e professore ordinario di Pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano.

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