Le foreste sono una presenza continua e invisibile. Ci circondano, influenzano la nostra vita, ma raramente ce ne rendiamo conto. Non sono ambienti immobili: cambiano, rispondono agli stress, si adattano. Lo fanno da milioni di anni. E lo fanno anche insieme a noi. Per secoli, uomini e donne le hanno usate per ottenere legna, acqua, pascolo, riparo, protezione dal dissesto. Le hanno percorse, raccontate, hanno intrecciato connessioni con loro.
Diverse composizioni, differenti funzioni
I boschi vivono benissimo senza di noi – e lo fanno da 400 milioni di anni – ma noi non possiamo stare senza di loro. Una foresta in salute può fare molto: assorbire carbonio, conservare acqua, limitare frane, offrire legno, sostenere la nostra salute. Ma nessuna foresta può fare tutto, ovunque e nello stesso momento. Ogni funzione richiede una struttura, una composizione, una forma diversa. Una foresta giovane e densa non ha le stesse capacità di una matura e diversificata. La buona notizia è che sappiamo come dare alle foreste – se necessario – la forma migliore per ricevere da loro tutti i benefici di cui abbiamo bisogno, assicurandoci al tempo stesso che la foresta perduri e che resista agli stress climatici, sempre più forti e difficili da sopportare anche per gli alberi.
Le tre azioni chiave
Per fare questo servono tre azioni: proteggere, ripristinare, gestire. Proteggere significa evitare che ciò che esiste venga danneggiato. La protezione è spesso la strategia più efficace e meno costosa. Vale per le foreste primarie tropicali, ma anche per i lembi di foreste vetuste che rimangono nel cuore dell’Europa e dell’Italia (come le tredici faggete iscritte al Patrimonio mondiale naturale dell’Umanità Unesco) e che fanno da scrigno di carbonio, di biodiversità e di lezioni da apprendere su come funziona un ecosistema indisturbato. Ripristinare vuol dire far ripartire i processi ecologici dove li abbiamo degradati. A volte serve ricostruire la copertura arborea dopo incendi o tagli eccessivi. Altre volte bisogna intervenire su suoli erosi, regimare l’acqua, favorire il ritorno della vegetazione, se questo non riesce ad avvenire spontaneamente in modo abbastanza rapido ed efficace. Gestire, infine, significa accompagnare l’evoluzione delle foreste esistenti. Non per uniformarle, ma per migliorarne la struttura, aumentare la diversità, ridurre i rischi. Una gestione sostenibile (che comprende anche la scelta consapevole di non toccare nulla, se è quella migliore per tutti) può rendere un bosco più resistente agli stress, più produttivo quando serve, più stabile dal punto di vista idrogeologico.

Conoscere per pianificare: otto esempi virtuosi
Tutte e tre le azioni richiedono una pianificazione attenta. Non si può intervenire allo stesso modo ovunque. Bisogna conoscere le caratteristiche di ciascun bosco, valutarne le priorità, definirne la vocazione. In alcuni casi la priorità sarà conservare la biodiversità, in altri proteggere da frane o valanghe, in altri ancora fornire legno o energia. Per farlo servono dati aggiornati, strumenti tecnici e scelte condivise. In alcune aree questo lavoro è già in corso. Esistono esperienze concrete che mostrano come una gestione consapevole possa migliorare lo stato delle foreste e la qualità della vita delle persone che vivono intorno a esse. Ecco otto esempi: le Otto Foreste, dove possiamo apprendere come il bosco e le comunità umane possono collaborare tra di loro.
1 – L’abete bianco delle Foreste Casentinesi
Per secoli l’abete bianco delle foreste Casentinesi è stato un materiale pregiato per le costruzioni toscane: lo si ritrova nelle travi di palazzo Pitti e nelle galere della Signoria. Oggi il progetto A.Bi.E.S. (Abete Bianco Edifici Storici), promosso dall’Unione dei Comuni Montani del Casentino, vuole riportare questo legno storico nel restauro di edifici monumentali. L’obiettivo è usare in modo sostenibile un materiale locale, ridurre le importazioni di legno da Paesi ad alto rischio forestale e stoccare CO2 nei manufatti in legno, il tutto secondo una gestione forestale certificata e che garantisca anche la conservazione del bosco.
Ma l’abete bianco non è tutto uguale: le popolazioni presenti in diversi luoghi hanno differenze genetiche che si riflettono in caratteri come velocità di crescita, capacità di adattarsi a periodi siccitosi, resistenza a patogeni o qualità meccaniche del legno. Analizzando il DNA di 5000 alberi da 150 popolazioni di abete, il progetto sta identificando le popolazioni con le caratteristiche più adatte al cambiamento climatico. Questa attività favorisce una gestione più efficace suggerendo gli alberi con le proprietà migliori per un restauro di qualità e indicando quali semi ripiantare nel bosco per una sua ricrescita più resiliente.
2 – La Foresta Modello delle Montagne Fiorentine
In questo comprensorio nel cuore del Mugello, tra Firenze e Arezzo, la gestione forestale non è solo tecnica, ma anche sociale e territoriale. L’obiettivo è costruire un modello replicabile di pianificazione integrata, che tenga insieme produzione di legno, tutela della biodiversità, prevenzione del dissesto e coinvolgimento delle comunità. Tutti gli obiettivi sono condivisi, i piani di gestione sono redatti in modo partecipato, le foreste monitorate con tecnologie avanzate e pratiche di precision forestry. La Foresta Modello è un riferimento per il governo dei territori forestali. È una dimostrazione concreta che il bosco può essere gestito bene, se tutti i soggetti coinvolti sono messi in condizione di collaborare con strumenti adeguati e visione di lungo periodo.

3 – Selvicoltura naturalistica: il Podere Seradino
L’associazione Pro Silva Italia promuove una gestione forestale che si ispira ai processi naturali e punta a mantenere la copertura continua del bosco. In Umbria, nella foresta dimostrativa del Podere Seradino, una delle sei gestite da Pro Silva a scala nazionale, è stato applicato un mosaico di tecniche che includono la creazione di strutture irregolari e articolate, il rilascio di gruppi di alberi nelle aree tagliate e zone lasciate alla libera evoluzione naturale. L’obiettivo è ottenere legname di qualità, migliorare la stabilità del bosco e favorire la riproduzione naturale del bosco, senza ricorrere a rimboschimenti artificiali o tagli a raso. Un bosco dove i processi naturali sono assecondati e lasciati liberi di agire può resistere meglio agli stress climatici e addirittura produrre legno in maggiori quantità.
4 – Il bosco di Ban de Ville a Courmayeur
A pochi passi dal centro di Courmayeur, il bosco di Ban de Ville è un esempio di gestione forestale che coniuga protezione dal dissesto, produzione e turismo sostenibile. Qui la gestione del bosco ha come primo scopo la sicurezza idrogeologica, dando al bosco la forma migliore per impedire il distacco di valanghe e rallentare le frane che potrebbero minacciare il centro abitato. Si agisce sulla composizione, privilegiando specie stabili e ben radicate; sulla struttura, favorendo una distribuzione regolare e stratificata degli alberi; sugli elementi di stabilità, come ceppaie, tronchi caduti e legno morto, che rallentano l’acqua e trattengono il suolo.
Al tempo stesso, il legname prodotto è destinato a usi locali, mentre i sentieri e le aree attrezzate sono frequentati da cittadini e turisti.
5 – La prevenzione del fuoco in Valle di Susa
Dopo i grandi incendi dell’ottobre 2017 la Valle di Susa in Piemonte ha avviato un nuovo approccio alla prevenzione del fuoco. Il progetto PRe-FEu ha pianificato interventi forestali in chiave di prevenzione degli incendi su 300 ettari di territorio. Attraverso diradamenti selettivi, l’apertura di viali tagliafuoco ‘verdi’, l’applicazione del fuoco e del pascolo prescritto, la foresta ha aumentato la sua capacità di auto-resistenza alle fiamme. Un Piano Integrato di Prevenzione Incendi è stato redatto grazie a una collaborazione tra consorzi forestali, università, imprese locali e comunità montane. Il legno prelevato dal bosco durante questi interventi ha alimentato le filiere locali di lavorazione. L’esperienza di PRe-FEu è stata utilizzata come caso pilota dalla Regione Piemonte, che nel settembre 2025 ha emanato linee guida per la realizzazione di piani territoriali di prevenzione antincendi boschivi a valere su tutto il territorio regionale.

6 – Monte Amiata: i bagni di foresta
In Toscana, al Monte Amiata, tre faggete sono state certificate come i primi boschi in Italia idonei a migliorare il benessere e la salute umana, grazie alla tecnica del forest bathing. Non tutti i boschi sono adatti a questa attività: servono foreste mature, con chiome alte e filtranti, sottobosco sgombro, biodiversità elevata, quiete e naturalità. L’esperienza sensoriale di immersione richiede infatti una combinazione di luce, suoni, spazi e odori che favoriscano la rigenerazione fisica e mentale. Un marchio speciale è stato impresso sulla corteccia degli alberi per segnalare i percorsi, integrati da cartellonistica e formazione per guide locali.
7 – Forest Sharing: condividere un bosco
La frammentazione fondiaria è una delle principali difficoltà della gestione forestale in Italia. Forest Sharing è una piattaforma che mette in rete piccoli proprietari, tecnici e imprese per avviare una gestione condivisa. Si utilizzano droni, sensori, rilievi 3D e strumenti digitali per facilitare l’aggregazione e l’accesso alle filiere. In Friuli-Venezia Giulia, il progetto NET.Fo ha affrontato il problema da un altro lato: quello dei danni da eventi estremi. Dopo la tempesta Vaia e la diffusione del bostrico, è stato necessario ripristinare i boschi colpiti, con interventi urgenti e mirati in aree non coperte da piani di gestione forestale già esistenti. Coinvolgere i proprietari privati del bosco è stato fondamentale per evitare che le aree colpite diventassero focolai di ulteriore propagazione. In questo modo, la gestione del bosco, anche in condizioni difficili, ha assunto un ruolo nuovo: non solo produzione o conservazione, ma adattamento alla crisi climatica.
8 – Foreste urbane a Milano
Dal 1983 Parco Nord Milano ha piantato ogni anno cinque nuovi ettari di bosco, su aree precedentemente abbandonate dall’agricoltura. L’esperienza è oggi un laboratorio permanente, dove si studia la crescita degli impianti, se ne monitorano le trasformazioni, si sperimentano nuove tecniche di impianto e cura dei nuovi alberi. I boschi piantati oggi sono diversi da quelli degli anni Ottanta: disegni di impianto curvilinei, con strati arbustivi che proteggono gli alberi dal calore estivo e specie resilienti al cambiamento climatico. Il Parco ha messo a punto un piano di gestione forestale per adattare i boschi alle nuove condizioni ambientali, e oggi il ripristino continua con la creazione di habitat adatti alla biodiversità – dalle ‘autostrade fiorite’ per gli impollinatori selvatici, a nuovi stagni per il rospo smeraldino, al rilascio di grandi tronchi morti come casa per insetti, funghi e chirotteri –, raccontando a tre milioni di visitatori ogni anno come si ricrea un ecosistema perduto.
Non soluzioni standard ma direzioni possibili
Queste otto esperienze non risolvono da sole le grandi questioni ambientali, ma mostrano una direzione possibile. In ognuna c’è un elemento chiave: conoscenza, collaborazione, adattamento, continuità. Non ci sono soluzioni standard. Ogni foresta è un caso a sé, e richiede strumenti diversi, scelte diverse, tempi diversi. In tutte le situazioni che abbiamo raccontato il bosco non è trattato come un soggetto da rimuovere, da subire o da dimenticare. È un interlocutore. Un sistema vivente da ascoltare, capire e accompagnare.
Questo non significa dover intervenire ovunque, o trasformare ogni bosco in una fonte di reddito. Significa decidere cosa si vuole da ciascun territorio, assegnargli una funzione, e costruire intorno a quella una strategia. Compresa la scelta di ‘lasciare fare alla natura’, a patto di conoscerne e accettarne le conseguenze. Dove serve protezione, si proteggono le foreste. Dove serve legno, si abbina l’economia alla protezione del carbonio e della biodiversità. Dove si può generare valore sociale, si costruiscano alleanze tra il bosco e chi lo vive ogni giorno.
bibliografia:
Compagnia delle Foreste (2022). podcast Ecotoni, 2022, https://open.spotify.com/show/0TZNlu8g1At7auLbY7eJbS
Rete Rurale Nazionale, Rapporto sullo stato delle foreste e del settore forestale in Italia, 2019 https://www.reterurale.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/19231
Rete Rurale Nazionale, Strategia Forestale Nazionale, 2022, https://www.reterurale.it/foreste/StrategiaForestaleNazionale
Luigi Torreggiani, Il mio bosco è di tutti, Compagnia delle Foreste, 2022
Giorgio Vacchiano, La resilienza del bosco, Mondadori, 2019
Il progetto A.Bi.E.S. (Abete Bianco Edifici Storici) promuove l’utilizzo dell’abete bianco delle Foreste Casentinesi per impieghi strutturali, in particolare di restauro, unendo gestione certificata e ricerca genetica per resistere al cambiamento climatico.
Nella Foresta Modello delle Montagne Fiorentine, tra Firenze e Arezzo, la gestione dei boschi e del territorio circostante è partecipata da tutti i soggetti coinvolti.
Nella Foresta Modello delle Montagne Fiorentine, tra Firenze e Arezzo, la gestione dei boschi e del territorio circostante è partecipata da tutti i soggetti coinvolti.
Nella Foresta Modello delle Montagne Fiorentine, tra Firenze e Arezzo, la gestione dei boschi e del territorio circostante è partecipata da tutti i soggetti coinvolti.
Il bosco di Ban de Ville a Courmayeur in Valle d’Aosta è un esempio di gestione multifunzionale: protezione dal dissesto, produzione locale di legno e turismo sostenibile.
Il bosco di Ban de Ville a Courmayeur in Valle d’Aosta è un esempio di gestione multifunzionale: protezione dal dissesto, produzione locale di legno e turismo sostenibile.
Interventi mirati e piani condivisi aumentano in Valle di Susa (Piemonte) la resistenza agli incendi e sostengono le filiere locali del legno.
Interventi mirati e piani condivisi aumentano in Valle di Susa (Piemonte) la resistenza agli incendi e sostengono le filiere locali del legno.
Tre faggete certificate per il forest bathing, percorsi sensoriali dedicati al benessere fisico e mentale al Monte Amiata, in Toscana.
Forest Sharing è una piattaforma digitale per la gestione condivisa dei boschi, con tecnologie avanzate e progetti di ripristino post-eventi estremi.
Giorgio Vacchiano

Ricercatore in gestione e pianificazione forestale presso l’Università Statale di Milano, studia modelli di simulazione in supporto alla gestione forestale sostenibile, la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico e ai disturbi naturali nelle foreste temperate europee. Nel 2018 è stato nominato dalla rivista Nature tra gli 11 migliori scienziati emergenti nel mondo che “stanno lasciando il segno nella scienza”. È membro della Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale (SISEF), di cui coordina il gruppo di lavoro sulla comunicazione, e dell’Ecological Society of America (ESA). È presidente di Climate Media Center Italia.