Nel secondo decennio del Novecento, quando avviene il passaggio dallo stile Liberty all’Art Déco, i volumi e le forme si semplificano e i decori ispirati alla natura, sovraccarichi di ornamenti e volute, cedono gradualmente il passo a motivi più lineari e geometrici. Dietro a questo slittamento è facile leggere l’influenza delle avanguardie artistiche di inizio secolo: il Futurismo e il Cubismo, che scompongono le figure in frammenti, piani e volumi e poi le ricompongono nel tentativo di superare i limiti imposti dalla tela, come l’unità di tempo e l’unicità del punto di vista, ma anche la Secessione viennese, affascinata dalla bidimensionalità e dall’astrattismo grafico delle arti orientali.
Anche gli artisti della ceramica attingono a questo nuovo vocabolario formale, in maniera più o meno consapevole, come dimostrano le opere di rara bellezza riunite nella mostra Art Déco. Il trionfo della modernità curata da Valerio Terraroli: gli splendidi vasi ovoidali decorati con motivi a rombo di Camille Fauré, il “maestro degli smalti” delle porcellane di Limoges, che nella prima metà degli anni Venti abbandona gli intrecci di foglie e fiori per abbracciare i pattern geometrici, le losanghe e la spina di pesce, o chevron; o, ancora, il vaso con decori geometrici dell’architetto e designer Otto Prutscher, una delle figure di punta della scena artistica viennese nella prima metà del Novecento.

Quest’ultimo, in particolare, è dipinto con l’aerografo – l’antenato delle bombolette spray, a quei tempi considerato il non-plus-ultra della modernità – che consentiva di disegnare sulla ceramica nebulizzando il colore in minuscole gocce, un modo assai più rapido ed economico rispetto alla tradizionale pittura manuale a pennello; è la dimostrazione di come anche l’evoluzione tecnica abbia avuto un ruolo determinante nella nascita di un nuovo linguaggio decorativo. “L’effetto che riesce a ottenere la pittura ad aerografo è innanzi tutto quello dell’immediatezza”, spiega Terraroli. “E poi, si nota una grande pulizia delle forme, figlia del fatto che questo strumento non è in grado di seguire linee dettagliate di decoro e può lavorare soltanto su composizioni grafiche lineari e geometriche”.
Di semplificazione in semplificazione, si giunge all’ultima sala della mostra. Qui, con un brusco salto in avanti, si trovano riuniti come in una foto di classe una ventina di vasi e contenitori in terraglia degli anni Trenta, rivestiti di smalto vermiglio e firmati da alcuni tra i più talentuosi creativi del periodo: Gio Ponti, Giovanni Gariboldi, che gli succede come direttore artistico alla Richard-Ginori e che vincerà il primo Compasso d’Oro della storia nel 1954 con il sevizio di piatti impilabile Colonna, Guido Andlovitz e Angelo Biancini, entrambi legati alla S.C.I. – Società Ceramica Italiana di Laveno. Si tratta di oggetti d’uso a tutti gli effetti, di varie fogge e dimensioni, pensati per la quotidianità e prodotti industrialmente in moltissimi esemplari. La decorazione è scomparsa, sostituita dal colore, che si fa notare, mentre le loro forme sono semplificate e ridotte a nudi volumi, facili da riprodurre in serie.

“Siamo sul crinale tra l’arte decorativa applicata e la nascita del design industriale in Italia”, contestualizza la critica del design Domitilla Dardi, in dialogo con il curatore Terraroli. “Al termine degli Anni Venti si afferma la necessità di usare un linguaggio sintetico, intuitivo; non c’è più il tempo per perdersi in iconografie complesse o codici simbolici indecifrabili per il grande pubblico. Si punta, quindi, su qualcosa di immediato come il colore”. È trascorso poco tempo dalla realizzazione del Trionfo da tavola progettato da Gio Ponti per le sedi diplomatiche del Ministero degli Esteri (porcellana, 1927-29, Richard Ginori), con le sue allegorie che alludono a momenti della storia d’Italia. Il contesto è diverso e la sensibilità, nel frattempo, è profondamente cambiata: “Il rosso è presente con una grande potenza nella storia del design, pensiamo per esempio alla macchina da scrivere Valentine di Olivetti disegnata da Ettore Sottsass o al «rosso Ferrari». È come se, in qualche modo, in questi manufatti il colore riassumesse tutta la complessità che in passato era affidata alla narrazione dei motivi ornamentali e decorativi”, conclude Dardi.

Una selezione di vasi in terraglia con smalto rosso firmati da Guido Andlovitz e Angelo Biancini per la S.C.I - Società Ceramica Italiana di Laveno, da Gio Ponti e Giovanni Gariboldi per la Società Ceramica Richard-Ginori, tutti 1927-1935.

Camille Fauré, Vasi romboidali decorati con motivi a rombo realizzati nel laboratorio di Limoges dell’artista, 1925

Tomaso Buzzi, specchio con impianto interno per l’illuminazione Il carro di Selene, Fontana Arte, circa 1930

Una selezione di vasi in terraglia con smalto rosso firmati da Guido Andlovitz e Angelo Biancini per la S.C.I - Società Ceramica Italiana di Laveno, da Gio Ponti e Giovanni Gariboldi per la Società Ceramica Richard-Ginori, tutti 1927-1935.



