“Tutta la grande letteratura è una di due storie: un uomo intraprende un viaggio o uno straniero arriva in città”. In questa breve frase, presumibilmente scritta alla fine dell’Ottocento, Lev Tolstoj riassume una legge universale e senza tempo: le storie, tutte le storie, personali e comunitarie, iniziano con uno spostamento, con il viaggio verso un altrove o con l’arrivo da un altrove. In sintesi, con un passaggio di confine. Dall’illuminante aforisma di Tolstoj nasce l’ispirazione per il secondo numero di humus®, ‘Passaggi di confine’, che indaga le risposte contemporanee ai continui sconfinamenti che ciascuno di noi sperimenta, ricerca, a volte subisce.
Le dinamiche multiculturali non appartengono solo al tempo presente, anche se a volte tendiamo a dimenticarcene; ma è innegabile che l’incremento della mobilità globale abbia esponenzialmente accresciuto il fenomeno delle migrazioni, tanto da posizionarlo, insieme alla rivoluzione digitale, tra i fattori determinativi della nostra epoca. Qualcosa da cui, insomma, è impossibile – e utopico – prescindere. Così humus® ha chiesto ad Agostino Portera, Ph.D. e professore di Pedagogia interculturale, autore di un interessante libro con il grande sociologo Zygmunt Bauman (Education and Intercultural Identity, Routledge 2021), di illustrare nella sezione Focus On le ragioni per cui saper convivere tra diverse culture sarà il vero super-potere dei prossimi decenni.
Le modalità di questa convivenza non sono scontate; anzi, sono tutte da inventare. Per questa ragione abbiamo interpellato chi, tra progettisti e designer, artisti e fotografi, ha improntato la propria vicenda professionale e umana sul passaggio di confini: tra gli altri, l’architetto burkinabé e tedesco Francis Kéré, Pritzker Prize 2022, il cui progetto dell’Unesco Virtual Museum of Stolen Cultural Objects verrà avviato il prossimo autunno: il designer nigeriano Nifemi Marcus-Bello, in questi mesi con la sua stazione lavamani portatile For the Community by the Community in mostra al MoMA di New York; lo studio TAMassociati di Venezia, che lavora in luoghi critici come Betlemme, imparando ogni giorno a operare con l’essenziale.
Abbiamo anche scoperto che il passaggio di confine verso altre identità e culture può essere uno stimolo validissimo per artisti e creativi: abbiamo raccolto, in questo senso, le storie di Lola Montes, scultrice e ceramista americana trasferitasi in Sicilia alla ricerca di ispirazione, e di Anna Maria Maiolino, artista premiata con il Leone d’Oro a Venezia nel 2024 e ora celebrata da una grande mostra al Museo Picasso di Parigi, il cui percorso artistico ed esistenziale si è svolto attraverso due continenti e quattro nazioni.
Ciascuno dei protagonisti degli articoli ha elaborato una sua formula personale nell’affrontare piccole e grandi migrazioni, quotidiane o esistenziali, gli incontri – o gli scontri – con culture differenti. La conclusione che non esista un metodo universalmente valido sembra scontata: l’unica certezza è che nella nostra epoca l’identità culturale non è un dato acquisito e immutabile, ma un elemento in divenire, da costruire, modificare, completare, adattare.
Ci aiutano a chiudere il cerchio le parole di Zygmunt Bauman, lo studioso che ha elaborato il concetto di società liquida, pubblicate nel 2009 sul Corriere della Sera: “Le frontiere, materiali o mentali, di calce e mattoni o simboliche, sono a volte dei campi di battaglia, ma sono anche dei workshop creativi dell’arte del vivere insieme, dei terreni in cui vengono gettati e germogliano (consapevolmente o meno) i semi di forme future di umanità”. L’articolo si intitolava Nascono sui confini le nuove identità.