La voce è ferma e non ha tentennamenti: “Rifiuto in modo viscerale l’idea dello straniero. Sentirsi straniero parte dal percepirsi o superiori o inferiori. Se ti senti superiore, ti senti straniero in un luogo di un certo tipo. Se ti senti inferiore, ti senti straniero altrove. Io non mi sento mai straniero perché amo le persone, amo la vita, amo cercare di fare in modo equo. Questo mi ha sempre aiutato a non sentirmi straniero”. Così Raul Pantaleo prende posizione e la sua esperienza dà prova concreta di questo modo di essere. Oltre a insegnare presso l’Università degli Studi di Trieste, Pantaleo è co-fondatore di TAMassociati, studio di architettura con sede a Venezia con progetti in Africa centrale, Sud America, Yemen, Iraq e Afghanistan (per citarne solo alcuni luoghi). L’architetto ha avuto modo di sviluppare dialoghi fra culture diverse in modo concreto, costruendo edifici in contesti critici e con funzioni delicate, fra ospedali, centri per la cooperazione e social housing.

Ma com’è lavorare in luoghi remoti e dove le sovrastrutture culturali sono così diverse? Il punto di vista di Pantaleo è confortante, apre orizzonti di fiducia: “Viviamo le differenze con grande serenità e umanità, mettendo al centro del progetto gli interessi degli utenti e soprattutto il rispetto. Stiamo cercando di immaginare progetti che vadano al nocciolo del nostro essere umani, del nostro essere una comunità. Guardiamo la storia del Sapiens in una prospettiva ampia, abbiamo tutti lo stesso numero di geni e proveniamo tutti dallo stesso continente. Il Sapiens si è differenziato dal Neanderthal in virtù del suo essere migrante: siamo sempre stati migranti. In tutti questi anni di lavori in giro per il mondo mi sono reso conto che sono più le cose che uniscono di quelle che dividono”.
Non solo ridimensiona il concetto di sentirsi straniero e la scala delle differenze, ma anche, in proporzione opposta, la quantità e la qualità degli scambi positivi fra terre lontane. “Lavorare in una zona di guerra ti abitua a una progettazione chirurgica: hai pochi soldi, poco tempo, poche risorse, poche skill, poco di tutto. E devi fare soltanto quello che è giusto fare. Si tratta di un rapporto diretto, primordiale con il fare architettura: bisogna fare qualcosa di utile. Ci siamo quindi resi conto che il know-how sviluppato nei contesti di guerra sarà molto utile nel nostro futuro, futuro in cui probabilmente dovremo abituarci a vivere in modo diverso. Si tratta di un cambiamento inesorabile: il mondo occidentale ha vissuto per trent’anni anni in una situazione privilegiata come poche volte nella storia. Tutti ci auguriamo che prosegua, ma è plausibile che vivremo tanti cambiamenti, perché ci saranno meno risorse economiche, intellettuali, politiche. In qualche modo, quindi, il nostro osservatorio di chi ha meno diventa utile per chi ha di più, per capire – per fare un esempio – che una sanità universale pubblica è un privilegio per cui dovremmo combattere tutti” continua Pantaleo.

L’ampiezza di prospettive, conseguenza diretta dell’esperienza sul campo e risultato di un processo virtuoso, non si ferma nemmeno davanti agli aspetti più concreti del costruire, alla scelta dei materiali più adatti, all’approccio tecnico. A essere privilegiato, infatti, è sempre un metodo non necessariamente lineare, capace di tenere in considerazione e in equilibrio diverse variabili, dall’identità del luogo al fine ultimo del progetto, funzionale o sociale, per esempio. Raul Pantaleo parla così di percorso progettuale e cantiere: “Si tratta di temi molto complessi, soprattutto se parliamo di Sud del mondo. Qui viviamo un incedere dell’architettura verso tipologie vernacolari e verso il recupero delle tecniche tradizionali. Nei paesi del Sud, come è successo in Italia nel dopoguerra, c’è invece una forte spinta verso la modernità, verso la ‘dubaificazione’ dell’immaginario. Noi, con TAMassociati, siamo sempre stati un po’ a cavallo: vorremmo costruire edifici moderni con un’intelligenza verso la costruzione tradizionale. Anche in questo ambito abbiamo un approccio estremamente pragmatico: non è ideologica la scelta di usare i materiali tradizionali. Se sono la soluzione migliore li usiamo, se si deve privilegiare il progetto sociale, invece, si usano materiali che magari in altri contesti non avremmo usato. Si tratta sempre di capire quali sono i fini del progetto”.

E per chiudere, un progetto in divenire e che rappresenta, in questo preciso momento, una speranza. TAMassociati sta infatti lavorando in Palestina, a Betlemme, per il cantiere di un ospedale psichiatrico. Il progetto, che sta andando avanti nonostante le estreme difficoltà dell’area, è stato sviluppato con ASUGI (Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina) e il centro di igiene mentale di Trieste. In questi giorni di guerra è stato fatto un gesto bellissimo: eliminare la recinzione proprio nella città in cui è stato costruito il muro di separazione.

Vista aerea del progetto di TAMassociati per l’Ospedale psichiatrico di Betlemme, ph. TAMassociati

Vista dell’ingresso al nuovo centro culturale secondo il progetto di TAMassociati per l’Ospedale psichiatrico di Betlemme, ph. TAMassociati

Ingresso dell’Ospedale psichiatrico di Betlemme; è in corso il progetto di ristrutturazione di TAMassociati, ph. courtesy AICS Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo

Vista del giardino e della caffetteria all’aperto secondo il progetto di TAMassociati per l’Ospedale psichiatrico di Betlemme, ph. TAMassociati

Mappa a volo d’uccello del progetto di TAMassociati per l’Ospedale psichiatrico di Betlemme, ph. TAMassociati

Ritratto di Raul Pantaleo, architetto co-fondatore dello studio TAMassociati, specializzato in progetti in ambito socio-sanitario sviluppati in aree critiche





