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Anna Maria Maiolino, l’arte migrante

di Giulia Marani

Quando ha ritirato il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2024, Anna Maria Maiolino (Scalea, 1942) ha dedicato il premio “all’arte brasiliana” e al Paese che l’ha saputa accogliere. Definirla soltanto una importante artista carioca sarebbe però una forzatura, perché il suo percorso umano e professionale, raccontato in questo momento in una grande personale allestita al Museo nazionale Picasso di Parigi con il titolo bilingue Je suis là. Estou aqui (“Sono qui” in francese e in portoghese), si snoda attraverso quattro Stati e due continenti diversi ed è profondamente influenzato dall’esperienza dell’emigrazione.

Nata in Calabria nel pieno della Seconda guerra mondiale, Maiolino cresce in una famiglia numerosa, ultima di dieci figli, e in un contesto decisamente mediterraneo fatto di scogliere a picco sul mare e di tavole imbandite intorno alle quali si ritrovano generazioni diverse. “Lei dice sempre che il tavolo di casa è stato la sua università, perché si parlava di qualunque argomento ed è lì, insieme ai genitori, ai nonni, ai fratelli e alle sorelle, che ha potuto assorbire le prime conoscenze” spiega Sébastien Delot, responsabile della collezione del museo e curatore dell’esposizione insieme alla brasiliana Fernanda Brenner. A sei anni si sposta a Bari, dove il maggiore dei fratelli si è iscritto all’università, mentre a dodici attraversa l’oceano in direzione di Caracas, in Venezuela, la meta scelta dalla sua famiglia nella speranza di trovare opportunità di lavoro e una maggiore stabilità economica. Qui, durante gli studi liceali, alle prese con la difficoltà di imparare lo spagnolo e di assimilare i codici culturali del nuovo Paese, scopre il linguaggio universale della pittura e delle arti plastiche.

Anna Maria Maiolino, ANNA, xilografia, 1967, ph. Everton Ballardin

Sei anni dopo, è il momento di un nuovo inizio e dell’ennesimo approdo in un Paese diverso, il Brasile, a Rio de Janeiro. Sempre al seguito dei genitori e dei fratelli, e di nuovo ignara della lingua e delle abitudini locali. Alla Scuola nazionale di Belle Arti entra in contatto con il fermento artistico della città e conosce pittori e scultori, tra i quali il futuro marito Rubens Gerchman con cui nel 1968 si trasferirà a New York per una breve parentesi, prima del divorzio e del rientro definitivo in Brasile. Sono proprio queste “rotture di faglia” successive, queste discontinuità, queste vite cominciate e poi interrotte, a nutrire un’identità culturale composita e in perenne trasformazione. “Nei vari passaggi di confine la sua personalità si è arricchita grazie agli incontri fatti e alle lingue imparate” conferma Delot. “C’è un concetto molto brasiliano al quale lei fa spesso riferimento, quello dell’antropofagia (il testo di riferimento è il Manifesto antropofago pubblicato nel 1928 dal poeta Oswald de Andrade, una delle figure chiave del modernismo brasiliano, che allude al cannibalismo rituale praticato da alcune tribù indios in epoca precolombiana, ndr.). A un certo punto, per essere accettato ti tocca ingoiare la nuova cultura e digerirla, devi, cioè, prendere gli elementi che ti interessano e farli tuoi”.

Anna Maria Maiolino, X, dalla serieFotopoemação, 1975, ph. Everton Ballardin. L’artista usa spesso il suo corpo come ispirazione per queste serie fotografiche, che si avvicinano per certi versi alla performance

Le oltre cento opere selezionate per la mostra, la prima personale dell’artista in terra francese organizzata in occasione della stagione culturale Francia-Brasile 2025, testimoniano della straordinaria capacità di Anna Maria Maiolino di trasportare il suo pensiero da un medium all’altro, passando agevolmente dal disegno all’incisione e dalla lavorazione dell’argilla alla Fotopoemação, una fotografia in bianco e nero con aspetti performativi e poetici. L’argilla cruda, in particolare, che ritroviamo sia nella sala dedicata ai Nuovi Paesaggi sia in una imponente installazione site-specific realizzata nel cortile del Musée Picasso, è uno dei suoi materiali prediletti sin da quando lo ha utilizzato per la prima volta alla fine degli anni Ottanta. Modellata in serpentelli ripiegati gli uni sugli altri o in forme organiche, come l’hanno potuta ammirare, per esempio, i visitatori della retrospettiva allestita al PAC di Milano nel 2019 e quelli della Biennale nel 2024, le permette di dare vita a lavori di grandi dimensioni usando le mani o attrezzi poco sofisticati.

Anna Maria Maiolino, Sem Titulo, parte della serie In, scultura in gesso modellato, 2008, ph. Everton Ballardin

Anna Maria dice spesso che l’argilla le piace perché è elastica, un po’ come il suo pensiero. Un’idea può trasformarsi e diventare altro con la semplice pressione delle dita. Modellarla è un’attività che somiglia alla preparazione della pasta fresca nel suo Sud Italia: in entrambi i casi si tratta di lavorare una massa umida ripetendo gesti lenti e arcaici. In più, il processo non è del tutto controllabile perché dipende dalla temperatura e da altri fattori esterni” ricorda ancora Sébastien Delot. Come succede sempre nel lavoro di questa artista, insomma, la semplicità è solo apparente e nasconde una ricerca complessa e stratificata.

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Anna Maria Maiolino, Sem Titulo, dalla serie Vida Afora (Fotopoemação), ph. Everton Ballardin. In una famosa performance l’artista cammina su un tappeto di uova, una metafora della difficoltà di muoversi e fare arte sotto governi autoritari.

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Anna Maria Maiolino, Sem Titulo, dalla serie Cobrinhas n. 3, 1993, ph. Everton Ballardin. Le cobrinhas sono i serpentelli di materiale modellabile che si possono ritrovare in molte opere dell’artista

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Anna Maria Maiolino, Um + Dois, parte della serie Novas Paisagens, 1991, ph. Everton Ballardin. La quinta sala della mostra è dedicata ai Nuovi Paesaggi, oggetti-scultura creati con dei semplici stampi

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Anna Maria Maiolino, Sem Titulo, parte della serie In, scultura in gesso modellato, 2008, ph. Everton Ballardin

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Anna Maria Maiolino, X, dalla serie Fotopoemação, 1975, ph. Everton Ballardin. L’artista usa spesso il suo corpo come ispirazione per queste serie fotografiche, che si avvicinano per certi versi alla performance.

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Anna Maria Maiolino, ANNA, xilografia, 1967, ph. Everton Ballardin

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Un ritratto di Anna Maria Maiolino, ph. Everton Ballardin

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Un ritratto di Anna Maria Maiolino, ph. Everton Ballardin

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